Riccardo Roscini Vitali

Riccardo Roscini Vitali ha conseguito la laurea in Giurisprudenza a Verona nel 2015 con una tesi sulla “Difesa dell’ente sotto processo”.
È abilitato alla professione forense dal 2018. Si occupa di responsabilità degli enti ex d.lgs. 231/2001. In particolare, presta attività di consulenza nella costruzione e aggior-namento di Modelli di organizzazione, gestione e controllo, è componente di Organismi di vigilanza e svolge corsi di formazione in contesti societari, secondo un metodo, condiviso a livello di studio, attento alla continua evoluzione, anche internazionale, della disciplina, alle nuove esigenze dell’impresa e alla praticabilità delle scelte di gestione del rischio elaborate con le funzioni aziendali.
Collabora dal 2018 con la cattedra veronese di diritto processuale penale, procedura penale della responsabilità degli enti e procedura penale europea ed è autore di pubblicazioni scientifiche su riviste di settore e su volumi dedicati alla compliance.

  Tel. +39 045 8002365

  Mail roscini@bignottiedacquarone.it

  Scarica scheda

Filippo Goio

Filippo Goio si laurea in Giurisprudenza presso l’Università di Trento nel 2009 e consegue l’abilitazione all’esercizio della professione forense nel 2014.
Si occupa di Diritto del lavoro e sindacale.
In particolare, presta consulenza alle imprese nella gestione delle
risorse umane, nella redazione di contratti di lavoro subordinato,
parasubordinato e autonomo e nella stesura di clausole contrattuali particolari (patti di non concorrenza, clausole di stabilità, piani di incentivazione), nella conduzione di procedure disciplinari e di licenziamento.
Assiste i clienti nel contenzioso giuslavoristico in ambito sia stragiudiziale sia giudiziale.
Ha maturato una consistente esperienza in materia di contratti di agenzia e di subagenzia, che redige anche in lingua inglese.
È socio AGI – Avvocati Giuslavoristi Italiani.

  Tel. +39 045 8002365

  Mail goio@bignottiedacquarone.it

  Scarica scheda

Luca Bordignon

Luca Bordignon si laurea in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Verona, Erasmus Program presso l’Université XII (UPEC) nel 2001.
È iscritto all’Albo degli Avvocati di Verona dal 2007 ed è abilitato al
patrocinio avanti le giurisdizioni superiori.
Si occupa di contenzioso ed assistenza in ambito civilistico e
prevalentemente commerciale, concorrenziale e societario, anche
con riferimento ad operazioni di M&A nel settore private equity e ristrutturazione del debito.
Ha conseguito i titoli per l’iscrizione all’Albo dei soggetti incaricati dall’autorità giudiziaria delle funzioni di gestione e di controllo nelle procedure del Codice della crisi e dell’insolvenza, frequentato il Master di specializzazione in Tech law & digital transformation e pubblicato per la Serie di Diritto Comparato delle monografie dei Contratto e Impresa il volume “La cessione del credito tra disciplina generale e disciplina speciale. L’esperienza francese”.
Parla francese ed inglese.

  Tel. +39 045 8002365

  Mail bordignon@bignottiedacquarone.it

  Scarica scheda

Giulia Bertaiola

Giulia Bertaiola si laurea in Giurisprudenza a Verona nel 2016 e consegue l’abilitazione alla professione forense nel 2019. Dal 2023 è cultrice della materia in diritto penale presso il Dipartimento di scienze giuridiche dell’Università di Verona.
All’interno dello studio, col quale collabora da settembre 2016,
si occupa principalmente di diritto penale, risk management e compliance aziendale.
In particolare, presta assistenza difensiva nell’ambito di procedimenti penali relativi soprattutto a illeciti commessi nel contesto iprenditoriale, tra cui infortuni sul lavoro, reati ai danni della pubblica amministrazione, frodi in commercio e reati tributari e societari. Svolge attività di consulenza nella progettazione e aggiornamento di Modelli organizzativi ex d.lgs. 231/2001, quale componente di Organismi di vigilanza e di formazione del personale aziendale in materia, prediligendo un approccio pragmatico e sostanzialista.

  Tel. +39 045 8002365

  Mail bertaiola@bignottiedacquarone.it

  Scarica scheda

Nidia Bignotti

Nidia Bignotti si è laureata in Giurisprudenza a Padova nel 1988.
Avvocato dal 1992, è iscritta nell’albo speciale della Cassazione e altre giurisdizioni superiori dal 2004.
È founding partner dello studio e in particolare responsabile dei settori di Diritto del lavoro, Distribuzione assicurativa e Diritto delle assicurazioni.
È consulente di imprese di assicurazione, intermediari e associazioni di categoria in materia di intermediazione assicurativa; presta assistenza nella gestione dei rapporti con le autorità di vigilanza, compresa la difesa legale nei procedimenti sanzionatori; si occupa di contenzioso giudiziale e stragiudiziale relativo ai rapporti di lavoro dirigenziale, di agenzia, di brokeraggio e altri rapporti di collaborazione; offre supporto nella gestione dei sinistri in fase precontenziosa e contenziosa.
Ha anche una consistente pratica di assistenza nella negoziazione di contratti e accordi collettivi a livello nazionale e aziendale.
È autrice di vari interventi e contributi a pubblicazioni giuridiche, ha tenuto convegni, corsi e seminari, specialmente in tema di intermediazione assicurativa.
È socia AGI – Avvocati Giuslavoristi Italiani.

  Tel. +39 045 8002365

  Mail bignotti@bignottiedacquarone.it

  Scarica scheda

Vittore d’Acquarone

Vittore d’Acquarone si laurea in giurisprudenza a Milano nel 1992.
È iscritto nell’albo speciale della Cassazione e Giurisdizioni superiori dal 2009, ha conseguito la qualifica di Solicitor in UK e la specializzazione in Ethics & Compliance al Center for Business Ethics della Bentley University di Boston.
È founding partner dello studio e, in particolare, responsabile del dipartimento di Diritto Penale, che, sin dal 2001, ha sviluppato con specifica attenzione alla responsabilità degli enti ex d. lgs 231/2001. Già Presidente della Camera Penale Veronese e corresponsabile nazionale dell’Osservatorio 231 dell’Unione delle Camere Penali Italiane, è autore di pubblicazioni scientifiche su riviste di settore e su volumi dedicati alla compliance, nonché relatore e docente in numerosi convegni e corsi di formazione. Svolge attività di difesa per persone fisiche e giuridiche in sede giudiziale, è componente di numerosi organismi di vigilanza e consulente per le strategie di implementazione dei modelli organizzativi per imprese nazionali e gruppi internazionali.

  Tel. +39 045 8002365

  Mail dacquarone@bignottiedacquarone.it

  Scarica scheda

Le nostre News

15 Dicembre 2023

Linee di indirizzo del sistema di controllo interno e gestione dei rischi: un prototipo

di Vittore d’Acquarone e Riccardo Roscini-Vitali

«[…] se il Modello è stato adottato le procedure di direzione e vigilanza sono “inglobate” nel MOG». Un principio, quello espresso, da ultimo, dal Trib. Milano, sez. X, 6 marzo 2023, n. 3314, consolidato e inoffensivo solo all’apparenza.
Perché, a ben vedere, di procedure di direzione e vigilanza l’ente è, in realtà, innervato. Spesso per finalità non solo 231, ma anche per finalità altre. E a ciascuna di esse fa capo un proprio gestore o più gestori coordinati tra loro.
È, allora, praticabile e auspicabile che l’Organo di amministrazione setacci il fondale normativo dell’ente, attraendo ogni sistema e regola aziendale entro le maglie di un Modello non pensato dal legislatore del 2001 per essere onnivoro?
L’operazione – che pure è certamente, ancorché non agevolmente, praticabile e, anzi, oggi assai in voga sotto il vessillo del Modello integrato – riserva, invero, insidie di non poco momento. A partire dalla forzatura esercitata sull’intero apparato regolatorio e sui suoi singoli gestori verso finalità, logiche di funzionamento e finanche grammatiche che posso risultare non immediatamente comprensibili, fino alla riconfigurazione del ruolo dell’Organismo di vigilanza, il cui perimetro di controllo si spiegherebbe, così, pericolosamente privo di orizzonti.
Insomma, che la normazione endoaziendale si sia evoluta, dal 2001 a oggi, secondo processi di progressiva intensificazione e raffinamento è un dato di fatto. Come si può, allora, favorire l’integrazione, preservando, al tempo stesso, la singolarità e l’autonomia di ciascuna sua componente, evitando, così, il rischio del cortocircuito funzionale-linguistico e, di conseguenza, dell’immobilismo indotto da un Modello che, a mo’ di Pac-Man, “inglobi” gradualmente gli altri Sottosistemi?
L’esigenza è, in realtà, tutt’altro che meramente teorica e, anzi, assai sentita nelle società, in particolare – non foss’altro perché ne complica notevolmente i fattori – se organizzate nella forma del gruppo di impresa.
Abbiamo tentato di formulare una nostra risposta, progettando un prototipo di Linee di indirizzo del Sistema di controllo interno e di gestione dei rischi, come tale pubblicato nella sezione Temi del n. 4/2023 della Rivista 231. Avendo come punto cardinale l’interazione – più che l’integrazione – e, quindi, il dialogo tra Sottosistemi (Modello incluso) e loro rispettivi gestori (Odv compreso), abbiamo elaborato, alla luce dei fenomeni intercettati frequentando il mondo dell’impresa e degli approdi dottrinali e giurisprudenziali più recenti, una nostra personale rilettura di temi che sentiamo prioritari. Il tutto corredato da appendici applicative pensate per scaricare a terra i principi espressi nelle Linee di indirizzo.
Il risultato attuativo dovrebbe restituire una cartografia dell’ecosistema di regole aziendali, utile a orientare l’interlocutore sia interno sia esterno all’ente.
Non resta che aprire il cantiere del confronto e della sperimentazione.

Le nostre News

17 Novembre2023

Assenze strategiche e “NASPI”: siamo davvero alla fine?

di Filippo Goio

Dopo una lunga attesa, è stato finalmente presentato alla Camera dei Deputati ed assegnato, il 28 novembre scorso, alla XI Commissione Lavoro, il Disegno di Legge in materia di lavoro (n. 1532-bis) approvato dal Consiglio dei Ministri già nel mese di maggio.
Inizialmente previsto come provvedimento accessorio al decreto legge n. 48/2023 (convertito con legge n. 85 del 3 luglio scorso), il “DDL Lavoro” era stato, infatti, licenziato la scorsa primavera e poi frettolosamente abbandonato, per finire nel dimenticatoio fino a pochi giorni fa.
Il Disegno interviene su diversi aspetti del rapporto di lavoro ma a spiccare tra le varie previsioni, soprattutto dall’angolo di osservazione delle imprese, è l’attuale art. 9, che dovrebbe eradicare una volta per tutte la fastidiosa abitudine, tutta italiana, di assentarsi ingiustificatamente dal posto di lavoro per provocare il proprio licenziamento.
Parliamo naturalmente di quei lavoratori – da alcuni ribattezzati come “furbetti della Naspi” – che, sfruttando una vera e propria lacuna normativa, anziché rassegnare le dimissioni, cercano e spesso trovano il modo di ottenere lo stesso risultato (ossia la risoluzione, evidentemente desiderata, del rapporto) per iniziativa del datore di lavoro, conservando così il diritto al pagamento dell’indennità di disoccupazione.
È il caso di fare qualche premessa e almeno un paio di passi indietro.
Come noto, presupposto indefettibile del diritto al pagamento della “Naspi” è la perdita involontaria del lavoro, ragion per cui, salvi pochi casi tassativamente previsti dalla legge, la “nuova assicurazione per l’impiego” non viene riconosciuta nei casi di risoluzione consensuale e di dimissioni non assistite da una giusta causa, poiché in tali ipotesi la perdita del lavoro dipende, del tutto o in parte, dalla volontà del lavoratore.

Ma cosa accade quando il prestatore di lavoro, implicitamente dimissionario, smette semplicemente di presentarsi al lavoro senza fornire giustificazioni per un lasso di tempo apprezzabile?
In passato, in virtù del generale principio di libertà delle forme (art. 1325 c.c.) e del fatto che la legge, a differenza di quanto fa per i licenziamenti, non prescriveva per le dimissioni particolari forme, la giurisprudenza reputava che un tale comportamento potesse «esternare esplicitamente o lasciare presumere, secondo i principi dell’affidamento, la volontà del lavoratore di recedere dal rapporto di lavoro»: ossia, in altre parole, integrare un caso di dimissioni per “fatti concludenti”.
Questi principi, un tempo consolidati, sono stati sterilizzati da due interventi normativi che, pur con l’apprezzabile intento di arginare il fenomeno delle cosiddette “dimissioni in bianco”, hanno subordinato la validità delle dimissioni volontarie dapprima ad una procedura di convalida (legge n. 92/2012 o “Legge Fornero”) e, in seguito, alla loro comunicazione esclusivamente per via telematica, attraverso la compilazione di moduli appositamente predisposti dal Ministero del Lavoro (art. 26 del d. Lgs. n. 151/2015, in vigore dal 12 marzo 2016).
Con il secondo e più recente intervento, in particolare, è stato previsto che la mancata comunicazione telematica – ritenuta idonea a “certificare” la genuina volontà del dipendente di risolvere il rapporto di lavoro – determina di per sé l’inefficacia delle dimissioni e, conseguentemente, la mancata cessazione del rapporto di lavoro.
Già a pochi giorni dall’entrata in vigore della disciplina i consulenti del lavoro non mancarono di sollevare dubbi e perplessità, che il Dicastero di Palazzo Balestra liquidò con 20 risposte ad altrettante “FAQ” limitandosi a sostenere, sul punto, che le dimissioni andassero rassegnate esclusivamente con il modello ministeriale e che, in caso di inerzia del dipendente, il datore «dovrà rescindere (sic!) il rapporto di lavoro»: in parole povere, procedere al licenziamento.
Come si suol dire: fatta la legge, trovato l’inganno.
Non ci volle molto prima che qualche lavoratore smaliziato, imbeccato da qualche conoscente più o meno esperto, decidesse di assentarsi dal lavoro senza più dare notizie di sé, in attesa di ricevere un licenziamento disciplinare o per “giusta causa”: ipotesi che, secondo gli orientamenti e le circolari interpretative più recenti, configurano a parere dell’INPS un’ipotesi di perdita involontaria del lavoro e quindi consentono di accedere alla “Naspi”.
Ovviamente un simile comportamento si è diffuso a macchia d’olio fino ad assurgere a vera e propria prassi, talvolta persino caldeggiata da qualche consulente legale attraverso alcuni dei molti siti web che affrontano tematiche giuridiche.
In effetti, di fronte a un dipendente assenteista, non potendo considerare il rapporto risolto per sue dimissioni, l’azienda può optare per due sole soluzioni: la sospensione temporanea del rapporto di lavoro o il licenziamento, preceduto da uno o più procedimenti disciplinari a seconda delle disposizioni del contratto collettivo, che potrebbero prevedere una o più sanzioni di tipo conservativo (come la multa o la sospensione) prima di consentire al datore di lavoro di risolvere il rapporto per inadempimento del dipendente.

La prima soluzione, posto il principio di corrispettività delle prestazioni, consente di mantenere il rapporto di lavoro “congelato” senza assumere iniziative disciplinari e senza versare al lavoratore assente ingiustificato la retribuzione ma, per contro, espone l’impresa a diversi rischi, su tutti il possibile ripensamento del dipendente che potrebbe pretendere di rientrare in servizio, senza dimenticare eventuali pretese impositive da parte di INPS sulla cosiddetta “retribuzione virtuale”.
Più facile, per l’imprenditore, alla lunga, procedere disciplinarmente nei confronti dell’assenteista e risolvere il rapporto di lavoro, seppure anche in tal caso non senza costi e qualche rischio.
Infatti, oltre a far gravare sui contribuenti la sua fruizione illegittima del trattamento teoricamente riservato alle ipotesi di perdita involontaria del lavoro, il lavoratore licenziato per essersi assentato senza giustificazione obbliga anche l’ex datore di lavoro al versamento del cosiddetto “Ticket Naspi”, ossia l’importo che ogni impresa è tenuta a versare per ciascun licenziamento e destinato, per l’appunto, a foraggiare il fondo per l’indennità di disoccupazione.
Non solo: l’azienda potrebbe anche vedersi, in seguito, impugnato il licenziamento ed essere costretta a dimostrarne la legittimità in giudizio, pena il pagamento – cornuti e mazziati, verrebbe da dire – di un’indennità risarcitoria all’ex dipendente.
Secondo un orientamento giurisprudenziale suggestivo ma rimasto confinato, per quanto consta, a una pronuncia del Tribunale di Udine, il comportamento del lavoratore dolosamente assentatosi dal servizio potrebbe essere valutato nell’ottica delle normali azioni risarcitorie e consentire all’azienda di addebitare al dipendente licenziato, anche trattenendolo dalle sue ultime competenze (in via di compensazione atecnica) l’importo del Ticket versato a titolo di risarcimento del danno.
Il DDL appena presentato alla Camera si propone di eliminare il problema alla radice modificando la norma che disciplina le dimissioni telematiche (l’art. 26 richiamato poco sopra), la quale, al nuovo comma 7-bis, dovrebbe prevedere quanto segue: «In caso di assenza ingiustificata protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a cinque giorni, il rapporto si intende risolto per volontà del lavoratore e non si applica la disciplina di cui al presente articolo».
Tutto risolto? Sì e no, parrebbe.
Sicuramente la norma avrebbe il pregio di sottrarre alla disciplina generale – l’obbligo di comunicazione telematica delle dimissioni – le fattispecie in cui il lavoratore manifesta, con il suo comportamento, la volontà di risolvere il rapporto di lavoro, consentendo alle aziende di reputare il rapporto interrotto per iniziativa di quest’ultimo: con esonero, quindi, dal versamento del Ticket e impossibilità, per il lavoratore, di accedere alla “Naspi”.
Qualche dubbio interpretativo potrebbe, però, porsi non tanto in relazione alle (rare) ipotesi in cui il lavoratore sia costretto ad assentarsi improvvisamente e sia genuinamente impossibilitato a fornire giustificazioni per più giorni consecutivi, quanto al rinvio che la norma farebbe, nella formulazione attualmente ipotizzata, al “termine previsto dal contratto collettivo”.
Come sappiamo, molti contratti collettivi disciplinano l’assenza ingiustificata prevedendo sanzioni diverse (sospensione, licenziamento con preavviso, licenziamento “in tronco”) in considerazione della durata dell’assenza e talvolta subordinano ad un primo provvedimento di tipo conservativo – atto, nelle intenzioni, a consentire al dipendente di ravvedersi – la legittimità di quello espulsivo: in questi casi, sarà opportuno che il legislatore chiarisca, anche con l’aiuto di circolari, a quale dei differenti termini pattizi debba farsi riferimento.
La disposizione in esame è comunque destinata a far discutere e, prima ancora che sia iniziato l’iter parlamentare, si sollevano già voci critiche, per le più fondate sulla circostanza che con essa verrebbe concesso al datore di lavoro un potere di recesso sottratto a qualunque sindacato di proporzionalità, aggiuntivo ai rimedi generali (sospensione della retribuzione ed eventuale azione disciplinare).
La cosa certa, quali che siano le soluzioni che adotterà il Legislatore, è che ben presto i “furbetti” dovrebbero avere vita dura.

Le nostre News

10 Gennaio 2023

L’organismo di vigilanza

di Vittore d’Acquarone e Riccardo Roscini-Vitali

La norma è, sin dall’origine, apparentemente sintetica: «l’ente non risponde se prova che […] il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli [e] di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo» (art. 6, comma 1, lett. b, D.Lgs. n. 231/2001), nei cui confronti siano «prev[isti] obblighi di informazione» (art. 6, comma 2, lett. d, D.Lgs. n. 231/2001).
Nel capitolo inserito nell’opera Il sistema penale in materia di sicurezza del lavoro, curata da Adelmo Manna ed edita da Wolters Kluwer, abbiamo integralmente riscritto lo statuto funzionale dell’organismo di vigilanza, rapsodicamente riempito di contenuti dalla giurisprudenza, secondo la sistematica di tre norme internazionali tra loro coordinate: UNI ISO 37301:2021 (Sistemi di gestione per la compliance – Requisiti con guida per l’utilizzo), UNI ISO 45001:2018 (Sistemi di gestione per la salute e sicurezza sul lavoro – Requisiti e guida per l’uso) e UNI ISO 37002:2021 (Sistemi di gestione per il whistleblowing – Linee guida).
Infatti, tali norme dettano le migliori pratiche anche per il corretto svolgimento dell’attività di vigilanza. In quanto migliori pratiche, esse rappresentano, pertanto, anche le misure massime, ossia la soglia del pretendibile oltre la quale il giudice penale non può spingersi per il riconoscimento dell’esimente di cui all’art. 6, comma 1, D.Lgs. n. 231/2001.
Destinatari elettivi del capitolo sono l’organo di governo dell’ente, l’alta direzione, chi svolge l’attività di organismo di vigilanza, il pubblico ministero e il giudice penale.

Le nostre News

15 Dicembre 2022

Vademecum per la progettazione e l’attuazione del modello ex art. 30, D.LGS. 81/2008: Una lettura guidata attraverso l’antologia delle fonti

di Vittore d’Acquarone e Riccardo Roscini-Vitali

Nel capitolo inserito all’interno dell’opera Lineamenti di diritto della sicurezza sul lavoro, curata da Aronne Strozzi ed edita da Le Monnier Università, illustriamo la disciplina del modello del settore safety derivante dal combinato disposto degli artt. 30, d.lgs. 81/2008 e 6 e 7, d.lgs. 231/2001. La narrazione principale è dedicata alle prospettive di soluzione ai maggiori interrogativi sollevati dalla normativa e all’individuazione dei punti cardinali del modello. Ivi fanno incursione spin-off tematici per l’approfondimento di taluni concetti, assumendo come bussola gli standard di riferimento (Linee guida Confindustria, UNI ISO 45001:2018 e Linee guida UNI-INAIL) e la giurisprudenza più recente. Lo studio si rivolge sia al teorico dei compliance programs sia a chi è chiamato a progettarli e attuarli.