La norma è, sin dall’origine, apparentemente sintetica: «l’ente non risponde se prova che […] il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli [e] di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo» (art. 6, comma 1, lett. b, D.Lgs. n. 231/2001), nei cui confronti siano «prev[isti] obblighi di informazione» (art. 6, comma 2, lett. d, D.Lgs. n. 231/2001).
Nel capitolo inserito nell’opera Il sistema penale in materia di sicurezza del lavoro, curata da Adelmo Manna ed edita da Wolters Kluwer, abbiamo integralmente riscritto lo statuto funzionale dell’organismo di vigilanza, rapsodicamente riempito di contenuti dalla giurisprudenza, secondo la sistematica di tre norme internazionali tra loro coordinate: UNI ISO 37301:2021 (Sistemi di gestione per la compliance – Requisiti con guida per l’utilizzo), UNI ISO 45001:2018 (Sistemi di gestione per la salute e sicurezza sul lavoro – Requisiti e guida per l’uso) e UNI ISO 37002:2021 (Sistemi di gestione per il whistleblowing – Linee guida).
Infatti, tali norme dettano le migliori pratiche anche per il corretto svolgimento dell’attività di vigilanza. In quanto migliori pratiche, esse rappresentano, pertanto, anche le misure massime, ossia la soglia del pretendibile oltre la quale il giudice penale non può spingersi per il riconoscimento dell’esimente di cui all’art. 6, comma 1, D.Lgs. n. 231/2001.
Destinatari elettivi del capitolo sono l’organo di governo dell’ente, l’alta direzione, chi svolge l’attività di organismo di vigilanza, il pubblico ministero e il giudice penale.